NOVELLA CEPPODOMO
La Novella dell’asilo
a cura di Maria Teresa Vico
Incontro Novella in una tersa giornata d’inverno, nonostante il freddo e i sui novantuno anni mi stava già aspettando sulla porta di casa, con il suo sorriso caldo ed accogliente.
È nel locale della LUA, vicino alla sua abitazione, che avviene il nostro primo colloquio, stabilito in precedenza da Anna Noferi per spiegare il nostro progetto nell’ambito del Corso Agorà.
Da sempre Novella vive ad Anghiari dov’è nata nel 1919; con grande vivacità e chiarezza ricorda luoghi, strade, persone che colloca nel tempo: storie nella storia ed il tempo vola.
Il secondo incontro avviene nella sua “casina”, alla quale si arriva salendo una scala ripidissima, in centro , al limitare della piazza. Quando mi apre la porta, Novella accende la luce e mi dice: ”Faccia attenzione… io sono abituata!” e velocemente mi precede nel salire la scala che porta al primo piano. Nella piccola cucina Novella, in inverno, da quando fa più fatica a camminare, trascorre gran parte della giornata. Mi invita a sedermi vicino alla finestra, che si apre verso il grandioso panorama e, come se l’incontro precedente fosse avvenuto il giorno prima, riprendiamo il filo del colloquio.
Del paese in cui siamo cresciuti ed abbiamo vissuto si ricordano tante cose, belle e simpatiche: ti trovi bene da una parte e stai volentieri dall’altra… In questo paesino ci conosciamo tutti, come se fossimo della stessa famiglia. “Ma lei sa, quanti anni ho?” Son novantuno, compiuti a novembre scorso, non posso esigere o pretendere di più. L’anno scorso sono caduta e mi è venuta subito la flebite… adesso ho una gran paura di cadere… “Prendi il bastone, può far comodo!” mi dicono. Qualche volta prendo l’ombrello, ma poi lo dimentico dal bottegaio e se quando esco non piove l’ombrello rimane lì e non ricordo più dove l’ho messo…
Sono nata il 7 novembre 1919 ad Anghiari a Palazzo Taglieschi in Piazza Mameli dove c’è il Museo, non quello Comunale, che ha l’entrata, andando verso la piazza, di fronte alla chiesa di Sant’Agostino. In quel museo sono rimasta quasi cinquant’anni, sino al 1966; mi è dispiaciuto venir via, c’erano delle altre famiglie oltre la nostra. Il prete nel Museo doveva sistemare le famiglie e siccome la mia mamma è venuta a mancare io sono dovuta venire via. Ho trovato questa casina dove abito ora, le ho dato una ripulitina e mi sono trasferita. Sto bene lo stesso. Anche l’altro museo era del prete. Don Vittorio conosceva una suora che aveva il babbo a Torino, quando questa suora è rimasta sola ha venduto il museo al prete. Adesso il Palazzo l’ha comprato il Comune. Ci sono delle belle stanze, dove in tempo di guerra (1943/1944) c’erano quattro, cinque suore a cui il prete aveva dato un appartamento e loro ospitavano le ragazzine che andavano a imparare a ricamare. Si facevano anche i guanti per i soldati, poi quando la guerra è finita le suore sono ritornate al convento.
D’inverno ad Anghiari si esce poco. Il mondo è troppo cambiato. Una volta si andava a casa di questo e di quello a far la veglia, oggi ognuno vive separato in casa sua.
Fra tutti i posti di Anghiari, il posto più bello è il Campo della Fiera. D’estate era il paradiso: c’era l’aria buona, una pineta… il bel panorama su Sansepolcro, si stava bene… D’estate è bello e fresco. Prima per San Pietro e Paolo c’era la fiera delle pecore, c’erano i banchi che vendevano i dolciumi e c’era anche la giostra. Ad Anghiari ci sono tante chiese e c’è anche una chiesina alla Misericordia. Io in parrocchia ci vado tutte le sere, non ho niente da fare e vado alla Messa la sera alle 18. Anche nei giorni festivi.
Per il 3 maggio c’è la processione e i bambini fanno la Comunione, poi la sera dopo cena fanno una bella festa e in fondo alla piazza fanno la tombola. Tirano su i numeri e chi vince è fortunato!
Quando camminavo e stavo bene andavo fino al Crocifissino a passeggiare. Al Carmine per l’Ascensione c’è la Festa di quella Madonna tanto rinomata. È un po’ distante, ma oggi ci sono anche i mezzi per andarci. Allora, dopo la Befana iniziava il Carnevale. C’erano tante sale da ballo: vicino al Museo, al Municipio, alla Sede della Libera, alla Sala della Musica e un’altra si trovava giù dove arrivava il treno. Era una moda così… L’ultimo giorno di Carnevale c’era il veglione nel Teatro Padronale; ognuno dei soci aveva il suo palco, fino al secondo piano, il terzo piano era libero per tutti i paganti.
Io vado sempre al teatro. Mi hanno fatto fare anche la commediante per “La Tovaglia a quadri” che è una commedia che si tiene a Ferragosto. Io continuo a far parte di questa compagnia teatrale, faccio sempre la stessa parte: sto in casa e mi affaccio alla finestra quando un’amica mi chiama.
Questo spettacolo dura una settimana dal 10 al 18-19 agosto tutte le sere, le persone mangiano nella piazza e le case private e la piazza diventano la scena. Sono vestita come ora: c’è una trattoria e gli altri attori fanno i camerieri, parenti, marito e moglie secondo il copione della commedia.
Ad Anghiari si fanno anche i fuochi artificiali; ora li hanno portati dove c’è l’ascensore. Li vedrei volentieri, ma ho paura a scendere al buio… Quando li facevano qui, la signora della farmacia Busatti mi chiamava: “Vieni Novella a vedere i fuochi dalla finestra”. Io di sera non esco mai… ho paura, non mi posso azzardare… Se cado mi rompo il femore ed è finita.
Quando ero più giovane andavo al cinema, c’era una bella sala, ma è durata poco. D’estate lo facevano anche su dal prete davanti alla Prepositura. Si perdono tutte le cose… anche il prete… non è stato bene e poi è morto e non era neanche vecchio. Io sono sempre stata sola. La mia mamma, quando mi ha fatto, era già grande. Ora i figli li fanno a quella età, ma allora a trentasette, trentotto anni, era già una mamma grande.
Sono stata a scuola fino alla quinta, poi c’erano le scuole superiori, si chiamavano “l’avviamento”, si doveva fare questo avviamento, ma io non ho mai avuto grande simpatia per la scuola!
La mamma mi diceva sempre che era bene che mi fossi fatta una compagnia, perché: “l’uomo buono o cattivo che sia, un bicchiere d’acqua te lo dà”, ma io non mi sono voluta sistemare. Sono sempre stata in casa, poi quando all’asilo la signora della cucina è andata in pensione, mi hanno chiesto se volevo fare la cuoca ed io ho detto: “Proviamo!”
Ho fatto per quarant’anni la cuoca all’asilo. Sono andata via al tempo della pensione, altrimenti sarei ancora rimasta, mi sentivo a “casa mia”. Sono stata all’asilo quarant’anni precisi, dal 1945 al 1985, e sono venuta via quando ho compiuto quarant’anni di lavoro. I ragazzi, che ho avuto all’asilo quando m’incontrano mi salutano: “Novella che fai? Novella come stai ?“.
Ero sempre con loro, quando la maestra era occupata o quando doveva prepararli per il teatro, per la recita scolastica, mi chiamava: “Novella vien su, vien su…” ed io rispondevo: “A mezzogiorno si balla o si mangia?”. Quella maestra ai ragazzi insegnava la quadriglia. All’Asilo comprare si comprava poco. Quelli che avevano possibilità dovevano pagare il mensile. Un giorno si mangiava la pastasciutta con il sugo, un altro la minestra e il pane con qualche cosa. Non si facevano i pranzi come quelli che si fanno in famiglia, erano tanti… Un anno, ricordo che erano novanta!
Tanti ragazzi, che ho conosciuto “figlioli” e che ora sono papà e nonni e quando mi incontrato mi salutano contenti e mi dicono: “Novella che fai ?” e qualcuno mi vuole dare del voi, ma io rispondo: “Sono la Novella dell’asilo e allora mi dovete vedere sempre come quando ero con voi all’asilo”.